L’artista siracusano Carlo
Capodieci ha segnato la storia artistica di Ortigia attraverso una vita
dedicata interamente all’arte e alla cultura aretusea.
Conosciuto, negli anni ’50 e ’60 del Novecento, dall’ambiente
artistico della locale Scuola d’Arte ha arricchito di “audaci” collezioni
committenti siracusani che hanno creduto anticipatamente nelle qualità e
potenzialità estetiche di questo figlio di Aretusa.
Il suo atelier d’arte
era l’isola d’Ortigia, dove attraverso il suo labirinto di strade tortuose
presentava agli abitanti più curiosi la sua pura visione della città di
Archimede. Ma la sua espressione artistica non coincideva solo con l’immagine
di Siracusa, ma con intensi ritratti e autoritratti, le immagini e le icone del
boom economico italiano, dive del
cinema immortalate da vivacità cromatiche, quasi pubblicitarie, un Andy Warhol del Mediterraneo.
Divisionista ed espressionista nella scelta dei colori e dei
paesaggi rendeva la città come la terra fantastica del fuoco, una passionalità
di rossi e grandi distese di macchie cromatiche rendevano la visione quasi
espressionista, un Munch del secondo
Novecento italiano. Molte opere di questo artista sono oggi ospitate nelle pareti auliche delle famiglie siracusane.
Una serie di opere realizzate a Siracusa tra il 1950 e il 1970, il ventennio
più creativo di Capodieci, dove grandi tematiche e generi artistici vengono
studiati dal pennello del maestro.
Negli ultimi decenni del Novecento, dopo la sua morte, fu
bandito il Premio Capodieci, che
celebrava nella cavea del Teatro Greco di Siracusa i figli d’arte della città,
un evento culturale che ricordava l’immagine di un bohemien isolano, che viveva la sua mitica ispirazione attraverso
le valenze cromatiche e le sue appassionate poesie.